Progetto “Crescita felice” – Per la sovranità energetica italiana

INTRODUZIONE

Con l’entrata in vigore della legge 11 febbraio 2019, n. 12 di conversione del Dl
135/2018 è scattata la sospensione dei permessi di ricerca, prospezione
e coltivazione di idrocarburi. La legge di conversione 12/2019 ha inserito
l’articolo 11-ter nel Dl 135/2018 (Dl “Semplificazioni”) prevedendo
l’adozione con futuro Dm di un Piano per la Transizione Energetica Sostenibile
delle Aree Idonee (PiTESAI)“ al fine di individuare un quadro definito
di riferimento delle aree ove è consentito lo svolgimento delle attività
di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi sul territorio nazionale,
volto a valorizzare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle
stesse”. Nel frattempo, però, in questo periodo (che può arrivare fino a due
anni), “nelle more dell’adozione del Piano”, sono sospesi “i
procedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di valutazione di impatto
ambientale, relativi ai nuovi permessi di prospezione o di ricerca di petrolio e
gas”.

Sia il Senatore della Lega Paolo Arrigoni, membro della 13ª Commissione
permanente (Territorio, ambiente, beni ambientali), – con un testo firmato da
alcuni parlamentari -, sia le opposizioni – con il deputato ravennate del Pd
Alberto Pagani insieme al collega di FI Galeazzo Bignami – hanno depositato
emendamenti al decreto Crescita presentato di un emendamento al DL
Crescita 2019 per modificare la moratoria, sbloccando i permessi di ricerca,
reintroducendo la pubblica utilità e prorogando l’aumento dei canoni.

Tutti gli emendamenti sono stati dichiarati inaccettabili per estraneità alla
materia in data 22 maggio 2019 . Qui sorge l’interrogativo: perchè bloccare
l’Oil & Gas era considerato conforme al decreto Semplificazione, mentre
sbloccarlo è estraneo al decreto Crescita?

Ma soprattutto, l’Italia può davvero permettersi di tenere bloccato un intero
comparto produttivo strategico nazionale?

OSSERVAZIONI

1) La principale preoccupazione di cittadini e politici è che estrarre
risorse energetiche dai mari nazionali possa comportare un forte
impatto ambientale. Tuttavia, si tratta di un timore infondato: oggi le
tecniche di estrazione e produzione petrolifera sono attente e ferree su regole
e controlli che mirano alla salvaguardia dei territori con attività petrolifere,
anche in virtù di stringenti e applicate normative inerenti la sismicità dei
territori.

Inoltre, Il gas estratto dal Mar Mediterraneo è metano: usato per
scaldarsi, per creare energia. È pulito, ecologico, e proprio per questo è
essenziale per accompagnarci nella transizione verso le energie
rinnovabili. Il metano è molto consumato in Italia, e tuttavia viene importato
al 90%: Confindustria energia dice che con le nostre riserve
arriveremmo a soddisfare fino al 42% del fabbisogno nazionale.
Il gas metano ci serve come l’acqua da bere perché alimenta i fornelli delle
cucine, consente di riscaldarsi, produce energia per il sistema produttivo ed è
incentivato come combustibile per i mezzi di trasporto. Il gas non è una cosa
da ricchi petrolieri, è un tema che riguarda ogni cittadino.
Senza mettere in conto che se non lo si estrae in Italia, il gas in Adriatico verrà
‘succhiato’ da Croazia, Albania, Montenegro e poi noi lo andremo a comprare
da loro facendo lievitare i costi, con conseguente impatto negativo sulle tasche
dei cittadini. Non è una logica vincente. Il gas è una fonte energetica
green, che piaccia o no. E senza gas l’Italia farà fatica a fare passi
avanti anche nelle rinnovabili.
Inoltre, e questo è un punto cruciale, bloccando le attività di ricerca e
prospezione nel Mar Mediterraneo, il Decreto Semplificazioni in nessun
modo tutela l’ambiente anzi, aumenterà le emissioni poiché non
riduce il consumo di fonti fossili, ma semplicemente penalizza la
produzione nazionale a favore delle importazioni e il gas estratto
all’estero, per essere trasportato, secondo diversi studi condotti da autorevoli
organizzazioni come l’Environmental Protection Agency (EPA) ha una
dispersione di circa il 30% con conseguente aumento delle emissioni.

2) La perdita commerciale derivante dal blocco delle attività
produttive è stimata di oltre 3 miliardi euro l’anno. Quella dei posti di
lavoro 20 mila. Considerando che lavoratori energetici tradizionali non
si oppongono alla riconversione energetica in rinnovabili, appare
evidente come vada rivista la strategia energetica nazionale. Non c’è
conflitto tra settori, anzi le competenze acquisite lavorando nel
settore Oil & Gas si rivelano utili nel processo di riconversione.

La soluzione non è girarsi dall’altra parte, diminuire la produzione
italiana per importare maggiore energia dall’estero, mettere a rischio
migliaia di addetti del settore, penalizzando fortemente uno degli anelli della
catena energetica del Paese. In alcune aree territoriali (Ravenna e Adriatico
Centrale, Gela, Siracusa) le conseguenze sarebbero gravissime. Tra l’altro, la
questione energetica potrebbe essere usata per valorizzare il Sud Italia,
attirando investimenti e creando lavoro: dalle mappature dei giacimenti salta
all’occhio che le maggiori risorse minerarie ancora da valorizzare sono
localizzate in Basilicata, in Calabria e in Sicilia. Sono evidenti i benefici che
deriverebbero dallo sfruttamento di tali risorse: dalla sicurezza energetica, al
rilancio del Meridione, al forte impatto sull’incremento dell’occupazione. Inoltre,
ne conseguirebbe sicuramente il riconoscimento per alcune regioni del Sud
Italia di ruolo centrale nella politica energetica del Paese. In particolare, per
quanto riguarda i risvolti occupazionali l’industria degli idrocarburi garantisce
una presenza di lungo termine sul territorio, costanza negli investimenti, come
pure lo sviluppo di un indotto ad alta tecnologia ed innovazione tecnologica
esportabile in contesti internazionali.
La politica non deve contrapporre i diversi settori che si occupano di
energia in Italia. Abbiamo bisogno di una transizione energetica certa.
Consideriamo un ultimo aspetto della situazione: il Piano Energia e Clima 2030,
promosso dall’attuale Governo Italiano, stima di coprire entro il 2030 il 30% dei
Consumi Finali Lordi energetici con fonti rinnovabili, rispetto a 18% attuale. Da
ciò, tuttavia, ne consegue che l’altro 70% di copertura energetica verrebbe
comunque da fonti energetiche non rinnovabili.
Ma allora, se questi sono i presupposti, come può l’Italia cessare di investire
nella prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, oltre che nelle
rinnovabili, promuovendo attività estrattive sicure e ambientalmente
compatibili?

La soluzione è avere una strategia complessiva che utilizzi le fonti fossili, e in
particolare il gas naturale, che è la fonte fossile meno inquinante, per
accompagnarci nella transizione verso le rinnovabili.
Ambiente, energia e lavoro possono e devono stare insieme.

CONCLUSIONI

La posta in gioco è elevata. Si rischia di paralizzare un intero comparto
produttivo nazionale senza per altro che la tutela ambientale ne tragga
giovamento.
D’altronde il Governo, per mettere in campo politiche energetiche ambientali
mirate a seguire gli obiettivi indicati dalla conferenza di Parigi COP21, dovrebbe
piuttosto impegnarsi nell’efficientamento energetico del patrimonio edilizio per
ridurre prima di tutto i consumi, sostenendo lo sviluppo delle infrastrutture, del
trasporto pubblico locale e nazionale.
Allontanare i giacimento verso Paesi remoti non riduce l’inquinamento: lo fa
crescere, però lo sposta lontano da casa nostra. Fa perdere posti di lavoro,
investimenti, e mette l’Italia nella condizione paradossale e di essere
dipendente dalle importazioni energetiche di paesi limitrofi.
Per questo chiediamo al governo di approvare in tempi brevi il Piano
per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee (PiTESAI,
sbloccando i permessi di ricerca, prospezione e coltivazione di
idrocarburi.
L’Italia non può scegliere di fare a meno di un’industria così importante e
strategica ai fini della sicurezza e della flessibilità degli approvvigionamenti,
senza perdere anche competenze altamente qualificate che rappresentano un
patrimonio. Una strategia che permetta alle aziende del settore di competere
ad armi pari sui mercati internazionali sarebbe una garanzia di sviluppo per
l’intero sistema paese italiano, con ricadute positive in termini di
occupazione, beneficio per le casse dello Stato e potere energetico.
Sarebbe una politica a vantaggio non dei poteri forti, ma bensì dei
cittadini che quotidianamente accendono la luce e il gas, cioè per tutti
noi.
Tutto questo non può che avvenire attraverso un programma serio, il cui
elemento essenziale è la volontà da parte delle amministrazioni e del Paese di
valorizzare il patrimonio energetico nazionale tramite una decisa
semplificazione e sburocratizzazione dei percorsi autorizzativi nel
quadro di una piena sostenibilità socio-ambientale e trasparenza dei
processi.